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Lorenzo CoralContattiInserisci il tuo indirizzo email: ti invieremo una nuova password, che potrai cambiare dopo il primo accesso.
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Tre anime convivono nello stesso corpo. Una ama. Una odia. Una osserva.
Quando una donna diventa il bersaglio del loro desiderio, il confine tra amore e prigionia si dissolve nella fuga dall’inferno di una mente in frantumi.
Il corto affronta temi delicati e profondi:
È un viaggio viscerale nella mente di un uomo spezzato, e un racconto sulla forza tragica e silenziosa di chi si ritrova intrappolato nei deliri altrui.
OB LIVIUM nasce come un lungometraggio completo, costruito su due linee narrative parallele:
Dentro Max convivono:
Il film si sviluppa come una spirale di ricordi, visioni e ossessioni. Un thriller psicologico dove il passato ritorna sotto forma di delirio.
Max, 23 anni, vive intrappolato in un’esistenza solitaria e tormentata.
Affetto da un disturbo dissociativo dell’identità, cerca disperatamente di mantenere il controllo sulla propria mente, ma dentro di lui convivono entità oscure pronte a emergere nell’ombra.
La sua percezione del mondo è distorta: lo vede come un luogo corrotto, ipocrita, in cui ogni gesto umano è contaminato dal dolore e dal ricordo dell’unico amore perduto: Natalia.
Un giorno, Regan incontra Livia. Lei gli ricorda terribilmente Natalia.
Il desiderio di rivivere quell’amore si trasforma rapidamente in ossessione.
Regan la rapisce e la rinchiude nella cantina della casa di campagna.
Convinto che quel gesto sia un atto d’amore, tenta in ogni modo di costringerla ad accettare la realtà malata che ha costruito.
Ma per Livia, quella “realtà” è un incubo.
Terrorizzata, lo respinge. Riconosce in lui solo follia, non amore.
Nel caos interiore, riemerge Max, che prova a salvarla.
Livia tenta allora di sfruttare la fragilità di Max per fuggire. Ma la tensione esplode.
Regan riappare, e il ciclo rincomincia.
Abbiamo scritto Ob Livium ispirandoci a due storie vere, diverse ma unite da un filo invisibile: quello dell’ossessione. Una parla di una mente divisa, frammentata, dove le identità lottano per il controllo.
L’altra nasce da un punto di vista diverso: quello di chi subisce, di chi viene inghiottito dalla violenza di un amore malato. Non volevamo raccontare solo chi fa del male, ma anche chi lo vive, lo riconosce, e fino all’ultimo cerca di resistere. Volevamo esplorare quel buio non come un mostro esterno, ma come qualcosa che nasce dentro, che si nutre delle nostre paure e dei nostri traumi.
Spesso, quando sentiamo storie di violenza o di follia, le liquidiamo con un “era malato”, “è impazzito”, come se bastasse un’etichetta per spiegare tutto. Noi volevamo fare il contrario: volevamo indagare, scavare, mettere in discussione la semplicità dei giudizi. Volevamo parlare di ciò che succede quando una persona smette di capire sé stessa, e nessuno intorno si accorge di quanto sta precipitando.
Livia, nel film, è l’unica presenza reale in un mondo dominato dalla dissociazione. Lei vede tutto, ricorda tutto, e prova a reagire. È una voce viva dentro una prigione di ossessioni. Volevamo darle forza, darle occhi, darle coscienza. Livia rappresenta chi si trova davanti a una follia che si crede amore, e nonostante la paura, non si arrende mai.
Quello che ci interessa raccontare non è un caso clinico, ma qualcosa che riguarda tutti. L’ossessione non è una malattia di pochi: è una forza trasversale, non ha genere, non ha volto. È una fame, una tensione, un vuoto. E spesso, oggi più che mai, siamo tutti ossessionati da qualcosa: dal controllo, dall’immagine, dal risultato, dalla perfezione. E arriviamo perfino a scambiare l’ossessione per amore, e l’amore per possesso.
Vorremmo che lo spettatore non giudicasse, ma si chiedesse:
“E se fosse successo a me? Se fossi nato altrove, cresciuto diversamente, vissuto altri dolori?” Perché tutti abbiamo dentro noi una parte oscura. E negarla è il primo modo per lasciarle campo libero.
Ob Livium non è un film sulla malattia, ma sulla fragilità. E non crediamo che il male sia qualcosa che vive altrove, in altri. È dentro ognuno di noi, come il bene. Ci abita, ci attraversa. Siamo un intreccio di ombre e di luce, di forza e disperazione. E Max è il riflesso di quel groviglio che spesso ignoriamo, ma che esiste.
Vorremmo che chi guarda Ob Livium vedesse una storia profondamente umana. Vorremmo che provasse empatia anche per chi fa paura, per chi non capisce sé stesso, per chi urla senza che nessuno lo senta. Perché certe persone non si inventano: si scoprono nel mondo. E Max, in fondo, non è un personaggio inventato. È una possibilità. È uno specchio.
Ob Livium è un viaggio in quelle stanze proibite della mente. E non c’è un finale, solo un ciclo che si ripete. Perché certe stanze, una volta aperte, non si richiudono più. E quello che troviamo dentro, non sempre ci lascia andare.l cortometraggio rappresenta l’atto finale del lungometraggio:
Livia viene rapita da Regan, rinchiusa in cantina. Max prova a emergere, vuole salvarla. Ma la follia ha già preso il sopravvento. Quando Livia tenta di fuggire sfruttando la fragilità di Max, la situazione precipita: Regan riprende il controllo e la uccide.
Devastato, Max si rasa a zero, nel tentativo disperato di distruggere Regan. Crede che quel gesto possa porre fine all'ossessione.
Max, 23 anni, vive al confine tra ciò che è reale e ciò che non può più distinguere. La sua mente è una struttura complessa, abitata da forze contrapposte che si contendono il controllo. Affetto da un disturbo dissociativo dell’identità, Max è la personalità base, il nucleo fragile attorno a cui ruotano entità che non riesce più a contenere: Regan, incarnazione della rabbia più primitiva, esplosiva;
Adalana, architetta silenziosa, manipolatrice, che disegna ogni passo del sistema come se già conoscesse il finale. Quando Natalia, l’unica ancora di salvezza, scompare, il fragile equilibrio implode.
Max si perde nel tempo, nei ricordi, nell’ossessione. Quando incontra Livia, tutto si ripete. Lei è l’innesco. La ferita riaperta. Non conta più chi sia, conta ciò che scatena. Regan agisce, Adalana muove i fili. Max cerca di riscrivere il proprio destino, ma ogni scelta lo riporta al punto di partenza. Non si può cambiare ciò che è scritto dentro.
Nell’ultima scena, Max siede in una sala cinematografica. Davanti a lui, una ragazza. Il suo sguardo è vuoto. Nello schermo lui capisce. Non è finita. Non finirà mai. Qualcuno deve fermarlo. Ma non sarà lui.
L’atmosfera visiva di OB LIVIUM si ispira a registi come David Fincher, Ari Aster, Osgood Perkins. Il linguaggio è thriller-noir, disturbante, con un uso espressivo della luce e della composizione.
I fondi raccolti serviranno a coprire tutte le fasi di realizzazione del cortometraggio OB LIVIUM, garantendo una qualità tecnica e artistica professionale:
🎬 Produzione – 8.000 €
(Troupe, attrezzature, costumi, trucco, scenografia, location, vitto, trasporti)
🎞️ Post-produzione – 4.000 €
(Montaggio, color grading, sound design, musiche originali)
🌍 Distribuzione e festival – 1.500 €
(Sottotitoli, grafiche, promozione, iscrizione a festival italiani e internazionali)
📢 Comunicazione & Social Media – 500 €
(Realizzazione di teaser, trailer, contenuti promozionali, gestione campagne adv online)
🛡️ Sicurezza & assicurazioni – 1.000 €
(Assicurazioni, DPI, copertura logistica e di sicurezza sul set)
Se sei arrivato fin qui, significa che qualcosa in questa storia ti ha toccato.
OB LIVIUM non è solo un cortometraggio.
È un atto di coraggio. È un’esplorazione profonda della psiche umana, dell’ossessione, del dolore, della violenza nascosta dietro l’amore malato.
Viviamo in un tempo in cui la salute mentale viene ancora sminuita, e il femminicidio spesso ridotto a numeri o titoli di giornale.
Questo film nasce per non lasciare che certi temi diventino scontati. Per dare voce a ciò che di solito viene taciuto.
Per me, è molto più di un progetto:
è la mia prima opera scritta, diretta e interpretata.
Una sfida immensa che affronto con rispetto, passione e responsabilità.
L’ho scritto insieme a Federica Gallinari, sceneggiatrice e autrice, per avere anche un punto di vista femminile autentico, profondo, sincero.
Perché raccontare la prigionia, l’illusione e la violenza attraverso gli occhi di una donna significa anche ascoltare, imparare, restituire verità.
Ho avuto la fortuna di lavorare in diversi set, anche in produzione. Ma qui mi prendo il rischio – e l’onore – di guidare un’intera troupe.
Interpreto tre personalità diverse, ognuna complessa, ambigua, spaventosa.
È un’immersione totale nel lavoro da attore e regista. Una prova.
Una chiamata.
E io sento di doverla fare.
Per questo, ti chiedo di esserci.
Con un contributo, piccolo o grande. Condivisione, supporto, fiducia.
Grazie di cuore per ogni centesimo, ogni parola, ogni gesto.
Senza di te, questo film non può nascere.
Lorenzo Coral
L’accesso alla gallery è riservato ai sostenitori del progetto.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) costituiscono una serie di 17 obiettivi concordati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Rafforzare le modalità di attuazione e rilanciare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile.
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